La parola "amore" oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via. È stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l'amore come tema della mia prima Enciclica. Volevo tentare di esprimere per il nostro tempo e per la nostra esistenza qualcosa di quello che Dante nella sua visione ha ricapitolato in modo audace. Egli narra di una "vista" che "s'avvalorava" mentre egli guardava e lo mutava interiormente (cfr Par., XXXIII, vv. 112-114). Si tratta proprio di questo: che la fede diventi una visione-comprensione che ci trasforma. Era mio desiderio di dare risalto alla centralità della fede in Dio – in quel Dio che ha assunto un volto umano e un cuore umano. La fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte.
Così, in questa Enciclica, i temi "Dio", "Cristo" e "Amore" sono fusi insieme come guida centrale della fede cristiana. Volevo mostrare l'umanità della fede, di cui fa parte l'eros – il "sì" dell'uomo alla sua corporeità creata da Dio, un "sì" che nel matrimonio indissolubile tra uomo e donna trova la sua forma radicata nella creazione. E lì avviene anche che l'eros si trasforma in agape – che l'amore per l'altro non cerca più se stesso, ma diventa preoccupazione per l'altro, disposizione al sacrificio per lui e apertura anche al dono di una nuova vita umana. L'agape cristiana, l'amore per il prossimo nella sequela di Cristo non è qualcosa di estraneo, posto accanto o addirittura contro l'eros; anzi, nel sacrificio che Cristo ha fatto di sé per l'uomo ha trovato una nuova dimensione che, nella storia della dedizione caritatevole dei cristiani ai poveri e ai sofferenti, si è sviluppata sempre di più.
Una prima lettura dell'Enciclica potrebbe forse suscitare l'impressione che essa si spezzi in due parti tra loro poco collegate: una prima parte teorica, che parla dell'essenza dell'amore, e una seconda che tratta della carità ecclesiale, delle organizzazioni caritative. A me però interessava proprio l'unità dei due temi che, solo se visti come un'unica cosa, sono compresi bene. Dapprima occorreva trattare dell'essenza dell'amore come si presenta a noi nella luce della testimonianza biblica. Partendo dall'immagine cristiana di Dio, bisognava mostrare come l'uomo è creato per amare e come questo amore, che inizialmente appare soprattutto come eros tra uomo e donna, deve poi interiormente trasformarsi in agape, in dono di sé all'altro – e ciò proprio per rispondere alla vera natura dell'eros. Su questa base si doveva poi chiarire che l'essenza dell'amore di Dio e del prossimo descritto nella Bibbia è il centro dell'esistenza cristiana, è il frutto della fede. Successivamente, però, in una seconda parte bisognava evidenziare che l'atto totalmente personale dell'agape non può mai restare una cosa solamente individuale, ma che deve invece diventare anche un atto essenziale della Chiesa come comunità: abbisogna cioè anche della forma istituzionale che s'esprime nell'agire comunitario della Chiesa. L'organizzazione ecclesiale della carità non è una forma di assistenza sociale che s'aggiunge casualmente alla realtà della Chiesa, un'iniziativa che si potrebbe lasciare anche ad altri. Essa fa parte invece della natura della Chiesa. Come al Logos divino corrisponde l'annuncio umano, la parola della fede, così all'Agape, che è Dio, deve corrispondere l'agape della Chiesa, la sua attività caritativa. Questa attività, oltre al primo significato molto concreto dell'aiutare il prossimo, possiede essenzialmente anche quello del comunicare agli altri l'amore di Dio, che noi stessi abbiamo ricevuto. Essa deve rendere in qualche modo visibile il Dio vivente. Dio e Cristo nell'organizzazione caritativa non devono essere parole estranee; esse in realtà indicano la fonte originaria della carità ecclesiale. La forza della Caritas dipende dalla forza della fede di tutti i membri e collaboratori.
In brief, he's saying that the word 'love' has become so abused that one fears to speak it any longer. But we cannot abandon such a primordial concept - we need to repurify it. Looking to the incarnation, he treats of 'God', 'Christ' and 'Love' as inseperable themes for the Christian faith. (A faith that transforms.) By man's saying 'yes' to his created corporality and and the indissoluble 'yes' of marriage between a man and woman (this form is rooted in creation) eros transforms itself into agape - the love for the other is no longer for one's self, but rather a preoccupation with the good of the other, a willingness to sacrifice and openness to new life. Christian love of the neighbour following the path of Christ is not simply 'beside' or 'against' eros; rather in the sacrifice of Christ it finds a new dimension.
The letter will have two parts - one a theoretical analysis of love, the second having to do with eccleisal 'caritas'. The Pope is particularly interested in the unity of these two themes. He intends to look at how we are created for love and how eros (especially between a man and woman) is interiorly transformed into agape and thus responds to the true nature of eros. On this basis, one can clarify the biblical concepts of love of God and neighbour. He will also show that agape is not simply something individual, but must become an essential act of the Church. He notes too that this is not something that is added 'by chance' to the Church but forms part of the nature of the Church. As word of human faith corresponds to the Divine Logos, so to the Agape which is Divine must corrspond the agape of the Church which is its charitable activity. This activity, in addition to practical help for one's neighbour, includes in its essence communicating to others the love of God which we have revealed. It must make the living God visible in some way. God and Christ cannot be foreign words in charitable organization. They indicate the origin of ecclesial charity. The power of charity (Caritas) depends on the power of the faith of all members and collaborators.
I apologise that I can only give a poor paraphrase rather than a literal translation. I like the way various themes are tied together. I guess that the media will jump on the whole 'sex is good,' says Pope angle, and shan't overlook the stress on 'heterosexual marriage'. However, I think that what is interesting is how the Holy Father proposes linking 'caritas'/'charity' to 'eros' and 'agape' and the insistence that our faith cannot be detached from our charitable efforts. That'll give food for thought for anyone proposing a faith-neutral model of social justice to the Church. It'll also be a reminder to some of us that there is life beyond dogma and that our doctrinal propositions and ecclesiological posturing must also bear the fruit of charity.
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